u ROMA – ITALIA – Brasile tra il 1945 ed il 2000 con particlare riferimento ai rapporti tra politica estera e politica interna

PATROCINANDO SUA LEITURA

 

CAPITOLO I

 

L’EVOLUZIONE POLITICA, SOCIALE ED ECONOMICA

 

1.  Con la “Rivoluzione del ’30” inizia il lungo periodo di governo di Getulio Vargas che caratterizzerà il Brasile – seppur con un intervallo tra il 1945 ed il 1950 – per ben cinque lustri. La bibliografia sullo statista é vastissima (1) ; in questa sede ci limiteremo quindi a descrivere alcune delle principali tendenze della “formazione sociale brasiliana” (2) che si affermano in tale periodo.

Innanzitutto si può affermare che a partire dal 1930 emergono con forza gli interessi della borghesia produttiva urbana che conferiscono enfasi alla industrializzazione come fattore dinamico dell’economia ed ad una politica di contenimento delle importazioni come strumento per realizzarla.

Tra i fattori a monte di tale processo segnaliamo:
a) la crisi internazionale che aveva ridato legittimità al protezionismo commerciale;
b) il programma di riconversione economica e di sostegno realizzato per impedire il crollo del settore caffeicolo;
c) l’ascesa di una borghesia industriale e del terziario che intende conquistare uno spazio politico autonomo;
d) la formazione di uno Stato interventista (sul modello di quello auspicato dalle ideologie totalitarie europee) al quale si associa una burocrazia tecnica dalle visioni modernizzanti.

Non bisogna però tacere che l’industria era comunque ritenuta ancora complementare alla struttura economica agro-esportatrice cosicché solo negli anni ’40 il suo interesse potrà di fatto essere equiparato a quello dell’intera nazione .

Sul piano esterno questo dualismo strutturale si riflette in maniera innovativa. Per la prima volta la politica estera brasiliana segue una formulazione che si basa sulla considerazione delle esigenze economiche interne al fine di ottenere determinati risultati anziché sulla mera difesa dell’immagine e del credito internazionale del Paese per contrarre prestiti a condizioni finanziarie piú favorevoli (3).

 

2. Il dualismo prosegue nell’immediato dopo-guerra. Il Governo del generale Eurico Dutra tenta infatti di ripristinare uma politica economica liberale e, sotto lo stimolo di quanto avviene in Europa con il “Piano Marshall”, di riallineare il Brasile com gli Stati Uniti per ottenere dei vantaggi concreti.

I risultati ottenuti non furono invero positivi poiché mancava il consenso interno alla liberalizzazione (soprattutto da parte dei ceti burocratici che avevano acquistato notevole prestigio sotto Vargas) né vi erano risorse sufficienti da mettere in campo per beneficiare di una “relazione speciale” con Washington.

Il modello di “nazional-populismo” disegnato da Vargas aveva suscitato aspirazioni crescenti incampo sociale e sindacale nelle masse popolari brasiliane e manteneva nel contempo un forte richiamo su consistenti settori dei ceti medi e dell’imprenditoria locale.

Il ritorno al potere di Vargas segna cosí la ripresa della politica di industrializzazione orienta nuovamente anche la politica estera. Nel 1952, a seguito delle decisioni della Commissione mista di cooperazione Brasile-USA, viene infatti istituito il Banco Nacional de Desenvolvimento (BNDES) con il compito di canalizzare il credito interno ed estero verso progetti di sviluppo delle infrastrutture e delle industrie di base.

Gli sforzi di crescita senza un adeguato rigore fiscale ed un’effettiva perequazione dei redditi costituiscono un forte elemento di contraddizione. Essa si approfondisce con la riduzione del dinamismo economico e dell’accumulazione di capitale nel 1953-’54 (4), portando al tragico epilogo del suicidio del “caudillo”.

 

3. La crisi politica che pone fine all’era di Vargas non riesce peró a trovare una soluzione definitiva nel successivo governo di Juscelino Kubitschek (1955-60). Il populismo e le politiche di massa che esso aveva suscitato non potevano essere accantonate in assenza di un progetto político alternativo sufficientemente forte da raccogliere il consenso maggioritario dei settori piú dinamici del paese (5).

É comunque notevole l’esito di Kubitschek nel coniugare lo schema di sviluppo economico nazionalista di Vargas con le nuove esigenze di internazionalizzazione dell’economia. Il “Plano de metas” del 1955-’60, il piú completo strumento di programmazione economica mai adottato in Brasile, rappresenta cosí il fulcro del suo mandato.

In campo internazionale, invece, Kubitschek mantiene una sorta di idillio transitorio con gli Stati Uniti e con gli altri Paesi sviluppati, sostenendo un deciso allineamento sulle principali questioni internazionali al fine di assicurarsi quel massiccio apporto di capitali esterni necessario ai piani di sviluppo. Questi erano addirittura caratterizzati da mete fisiche di produzione nell’auspicio di compiere un salto di qualitá nell’industrializzazione che rendesse i beni di consumo durevoli disponibili per i lavoratori salariati.

La cosiddetta “Operazione Pan-Americana” costituisce forse l’iniziativa piú significativa di Kubitschek in campo internazionale. L’idea di far affluire capitali pubblici internazionali verso l’America Latina prefigura quegli schemi di integrazione economica che si affermeranno posteriormente con il SELA, l’ALADI e, soprattutto, negli anni ’80. Alcuni osservatori rilevano che verosimilmente Kubitschek era consapevole degli scarsi risultati concreti che sarebbero giunti dall’ “Operazione” (6), ma nondimeno la ritenne opportuna per accrescere il peso internazionale del Brasile. Altri vi vedono una sincera opzione in favore di una collaborazione regionale per lo sviluppo secondo i dettami divulgati in quegli anni dalla CEPAL e basati sulla “teoria della dipendenza”.

In entrambe le ipotesi il problema per Kubitschek era rappresentato dalla riluttanza degli Stati Uniti a finanziare su basi multilaterali lo sviluppo latino-americano, soprattutto mentre il Brasile trascurava i criteri di stabilità monetaria e fiscale indicati dal Fondo Monetario Internazionale.

 

4. La difficoltá di stabilire un sistema economico efficiente creava difficoltá alla bilancia dei pagamenti e pesanti pressioni inflazionistiche. In questo contesto numerosi gruppi sociali ritengono che le domande espresse da settori sindacali ed operai siano incompatibili con una crescita ordinata e finiscano con l’ appoggiare il movimento sovversivo capeggiato dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Humberto Castello Branco.

Questi vedeva la sovversione interna come il principale pericolo per il Paese e riesce a prevalere tra le varie fazioni presenti nelle Forze Armate grazie al sostegno di alcuni governatori conservatori e, soprattutto, degli alti gradi militari influenzati dal pensiero dominante nella Escola Superior de Guerra, che – come vedremo – era anche una delle maggiori fucine di pensiero geopolitico. Il piano di risanamento economico ortodosso ha successo e per circa 15 anni il Brasile cresce a tassi medi del 7-8%, si stabilisce un sistema in cui i militari assumono la gestione di numerose imprese pubbliche e forniscono le direttrici dei piani di sviluppo economici in un’ottica di rafforzamento della potenza strategica e militare. Quest’ obiettivo diventa la “stella polare” del governo, dirigendo i flussi di investimento verso i settori di nuove tecnologie e di base a scapito di quelli in servizi ed infrastrutture sociali. Numerosi autori hanno definito efficacemente questo sistema come “modello autoritario burocratico” (7).

 A partire dalla decada del ’70 si assiste però alla formazione di varie strozzature nei processi di domanda ed offerta dei differenti settori produttivi brasiliani anche a causa della persistenza di una manodopera dai salari troppo bassi e senza qualifica . L’accesso massiccio di capitali bancari esteri a tasso d’interesse variabile rende però  vulnerabile l’equilibrio della bilancia dei pagamenti brasiliani che risente oltretutto di evidenti errori di programmazione nella distribuzione delle risorse in progetti a scarso rendimento (centrali nucleari, strada Transamazzonica, ecc..).

 

5. Le conseguenze delle difficoltà accumulate negli anni ’70 si manifestano nel decennio successivo sotto vari aspetti politici, economici e sociali. Il fenomeno che colpisce maggiormente gli studiosi di relazioni internazionali è comunque il “declino della capacità macrosociale di scegliere” (8) da parte del governo centrale.

In misura forse maggiore che nelle altre democrazie latino-americane recentemente ripristinate, si verifica in Brasile un aumento della partecipazione politica e delle connesse rivendicazioni sociali (salari minimi più elevati, riduzione dell’orario di lavoro, introduzione del  diritto di sciopero, ecc.) che finiscono col paralizzare l’azione del governo federale, stretto tra spinte contrapposte. Un dato significativo della maggiore presenza popolare nella vita politica é rappresentato dalla percentuale di votanti alle elezioni presidenziali del 1989, superiore al 90% degli aventi diritto.

L’altro dato esemplificativo delle tensioni irrisolte é costituito dal tasso d’inflazione che si mantiene ininterrottamente su livelli superiori al 100% dal 1987 al 1994, originando probabilmente un primato negativo a livello mondiale.

Su questo fenomeno sono stati scritti numerosi saggi ed articoli. Riteniamo tuttavia che le spiegazioni più convincenti siano quelle che designano l’inflazione brasiliana come “strutturale” derivata da una cronica scarsità di risorse monetarie pubbliche (a causa della bassa pressione fiscale) unita alle “strozzature” presenti in numerosi settori produttivi (fortemente protetti dalla concorrenza estera) che non riescono a fronteggiare aumenti anche transitori della domanda.

 

6. La transizione democratica si realizza comunque con un sostanziale successo sul piano politico. Il suo “atto di nascita” é individuato dai piú nel 1979 allorché viene proclamata uma “Legge di amnistia” sia per gli oppositori del regime che per i loro persecutori. Si dissipava così tra i militari la cosiddetta “sindrome di Norimberga” e se ne favoriva la lealtà al processo democratico consolidato con le elezioni politiche dirette del 1984 sulla base dell’impegno a mantenere in vigore la legge predetta.

Da parte loro, i militari brasiliani presentavano alcune caratteristiche di corpo oligarchico affini a quelle dei loro omologhi latino-americani. Tuttavia se ne discostavano per una più diffusa vena tecnocratica e per un’estrazione sociale più variegata che li ha indotti ad assumere con una certa frequenza il ruolo di “rappresentanti di tutta la Nazione” (9).

Anche per questo retaggio essi hanno forse ottenuto nella “Nuova Repubblica” di Sarney alcune significative guarentigie istituzionali quali l’affidamento di un alto numero di Dicasteri ed Enti con rango Ministeriale (6 che permanevano 4 ancora nel 1991) nonché il mantenimento, nonostante il parere contrario dei partiti progressisti e di numerosi giuristi, del ruolo costituzionale di salvaguardia della “legge e dell’ordine” oltrechè di difesa della patria.

Nondimeno la transizione democratica brasiliana confermava il ruolo di “processo guidato dall’ alto” verificatosi pressoché in tutto il sub-continente. Benché gli studi sulle transizioni latino-americane non sembrano ancora sufficientemente approfonditi, è stato in generale rilevato come in esse persista un’intima contraddizione nel fatto che la trasformazione di un regime politico verso consenso e rappresentatività effettivi segua vie non democratiche (10).

Le caratteristiche “elitistiche” del processo sono molteplici (11). In Brasile ci sembra però rilevante il perdurante retaggio del modello di “nazionalismo-autarchico”, costruito da Vargas che ha poi permeato di sé anche i ceti medi, la burocrazia statale ed ampi strati delle classi popolari. In definitiva il progetto di “Brasile-potenza” potrebbe essere considerato soltanto uma deviazione temporanea e, per certi versi, un’esasperazione di questo modello di base che rappresenta la traduzione concettuale di una delle “forze profonde” della storia brasiliana (12).

Nei circoli della grande impresa e degli intellettuali liberali è però stata tradizionalmente auspicata una maggior apertura del Brasile verso l’estero.

 

7. La sintesi giuridica dei contrasti tra fautori del progetto “nazionale” ed i sostenitori di un’integrazione con le realtà internazionali è fissata nella Costituzione del 1988. Questa, promulgata dopo due anni di intensa lotta legislativa, è sembrata segnare la prevalenza degli “autarchici”  in quanto ribadiva alcune importanti limitazioni alla presenza del capitale straniero (13) e delineava un sistema di tutela dei diritti dei lavoratori e delle minoranze molto articolato. Non a caso negli anni ’90 la revisione in senso liberista della Carta costituzionale diviene uno dei temi centrali del dibattito nazionale e divide trasversalmente gli schieramenti politici.

 

8. A quest’ultimo proposito si osserva che i partiti politici brasiliani presentano i tradizionali caratteri di frammentazione e personalizzazione comuni agli altri paesi latino-americani (14). Tali caratteristiche ne rendono relativamente poco incisiva l’azione sul quadro politico nazionale. Dal 1945 al 1964 lo scenario brasiliano é dominato essenzialmente da tre partiti politici: il Partito Socialdemocratico (PSD), l’Unione Democratica Nazionale (UDN) ed il Partito Laburista (Trabalhista) Brasiliano (PTB).

Il PSD era il rappresentante per eccellenza delle oligarchie regionali e della classe imprenditoriale associata allo Stato centrale. Questa fusione di caratteri conservatori con proposte economiche di sviluppo modernizzanti gli conferivano un carattere non-ideologico che ne consentì la lunga permanenza al potere. L’UDN raccoglieva invece tradizionalmente l’opposizione liberale al varguismo ed a ció che esso rappresentava come forma di manipolazione delle masse. Esso si costituisce soprattutto come rappresentante della borghesia urbana e delle classi medie preoccupate dalle crescenti richieste di partecipazione popolare. Nonostante ciò l’UDN non riesce a consolidare posizioni di potere a causa delle frequenti alleanze tra PSD e PTB e finisce coll’ auspicare una rottura anche eversiva dell’ordine costituito come effettivamente avvenne nel 1964.

Il PTB è invece l’espressione politica dell’ideologia populista e del suo paternalismo verso le masse lavoratrici. Abitualmente collegato alle burocrazie sindacali e ministeriali, il PTB era però percorso da contraddizioni interne tra i settori della borghesia e del proletariato ad esso aderenti.

Dopo il movimento militare del 1964, il pluralismo resistette ancora per breve tempo, fino ad essere estinto con il cosiddetto “Atto Istituzionale n.2” dell’ottobre 1965. Con tale provvedimento vengono autorizzati ad operare soltanto due partiti l’ “Aliança Renovadora Nacional” (ARENA) e il “Movimento Democrático Brasiliano” (MDB). La prima riuniva essenzialmente membri dell’UDN e del PSD favorevoli al “golpe”,  mentre il secondo vedeva l’adesione di ex-appartenenti al PTB ed al PSD contrari al regime militare.

Il nuovo sistema non modifica peró il ruolo secondario dei partiti nel processo decisionale, soprattutto in materia di politica estera dove resta valida la definizione del “brazilianist” Ronald Schneider secondo cui “…essa era piú uma responsabilitá dell’Esecutivo che una preoccupazione dei partiti; in questo modo, le posizioni di politica estera di diversi partiti peccavano per mancanza di coerenza” (15).

 

9. Nella transizione democratica, il modello semi-presidenziale adottato nella Costituzione del 1988 sembra conferire maggiore forza al ruolo dei partiti. Non esistendo alcun vincolo di mandato, resta comunque frequente il cambio di gruppo parlamentare (effettuato da 200 deputati su 594 complessivi nella legislatura ’85-’90) il che, unito al prevalere di singole personalità e di interessi localizzati, rende difficile mantenere solide alleanze programmatiche e crea focolai di instabilità. Il partito di maggioranza relativa diviene il Partito del Movimento Democrático Brasiliano (PMDB), diretta filiazione del MDB e di orientamento centrista. Raccogliendo varie correnti al suo interno, esso si presenta piuttosto come un composito “cartello” dal quale si originano varie formazioni. La più importante di queste é rappresentata dal Partito Social Democratico (PSDB) dalle cui fila nelle elezioni del 1994 provenivano sia il Capo dello Stato che i Governatori di importanti Stati (San Paolo, Rio de Janeiro e Minas Gerais).

Lo schieramento conservatore è invece capeggiato in questo perido dal Partito del Fronte Liberale (PFL) che sembra perdere parte della sua forza di centro di articolazione dello scenario politico. All’estrema sinistra dello schieramento politico si pone invece il Partito dei Lavoratori (PT), fondato nel 1980 dai sindacati dei lavoratori industriali e capeggiato ininterrottamente dal futuro Presidente Luis Inacio Lula da Silva. La duplice, consecutiva sconfitta nel secondo turno delle elezioni presidenziali del 1989 e del 1994  causava comunque vistosi  sintomi di stanchezza nella militanza del partito, benché esso avesse per la prima volta potuto eleggere due governatori (Distretto Federale e Espirito Santo).

 

10. Alla soglia degli anni ’90 il Brasile si presenta quindi come una rilevante potenza industriale con indicatori sociali insoddisfacenti che lo  collocano però su di un gradino molto più basso (16).

Il relativo insuccesso delle politiche pubbliche nell’assicurare livelli socialmente accettabili di crescita economica, inflazione e distribuzione dei redditi conduce in quel periodo ad un profondo mutamento della filosofia di governo.

Si disegna cioè un programma di decisa liberalizzazione della “formazione socio-economica brasiliana” incentrato sostanzialmente su tre pilastri: riforma amministrativa (mediante la razionalizzazione dell’Amministrazione federale e locale e la riduzione di Enti ed Agenzie pubbliche superflue); riforma fiscale (con la lotta all’ingente evasione di imposte e tributi e la riduzione della vasta casistica di esenzioni e sussidi); riforma patrimoniale (mediante un’estesa privatizzazione del sistema di imprese statali).

É interessante notare che tale programma trova per due volte consecutive il sostegno della maggioranza della popolazione attraverso l’elezione alla carica di Presidente di Fernando Collor de Mello, nel 1989, e di Fernando Henrique Cardoso, nel 1994. In entrambe le occasioni viene infatti sconfitto il candidato della sinistra laburista – il citato Presidente del PT Luis Inacio Lula da Silva. Questi invece si proclamava alfiere di un programma di mantenimento del controllo dell’apparato economico da parte del potere pubblico, orientato però a fini di redistribuzione dei redditi. Ció lo poneva in ideale continuitá con il filone storico del “populismo” brasiliano.

L’adozione di politiche sempre più liberiste in economia è peraltro  inquadrabile nell’analoga tendenza internazionale che, con qualche ritardo rispetto ai Paesi industrializzati ed ad alcune “success-stories” asiatiche, si diffonde estesamente in America Latina. A partire dal 1987-88, essa  ispira le politiche, tra gli altri, di Messico, Argentina, Bolivia, Perù  ed Uruguay (il Cile ne era stato invece un pioniere sin dalla fine degli anni ’70).

Nella prima fase del mandato di Cardoso (1994-1995) l’ostacolo principale sulla via delle riforme che devono conferire un nuovo profilo allo Stato brasiliano non è interno al sistema economico, ma deriva piuttosto dal rapporto con il Congresso. In esso infatti non si configurava una stabile maggioranza a causa dei contrasti degli interessi rappresentati e delle singole personalità dei partiti politici la cui coalizione elettorale aveva consentito il successo dell’attuale Presidente. Come venne giustamente osservato, “la coalizione che gli sta garantendo un sicuro successo attualmente, potrà limitarne il camino più avanti, quando verranno affrontate le riforme destinate a correggere gradualmente gli squilibri secolari tra le ricchezze e le opportunità nel paese.” (17) .

Sará proprio l’analisi di questi squilibri a formare l’oggetto dei prossimi capitoli.