u ROMA – ITALIA – Brasile tra il 1945 ed il 2000 con particlare riferimento ai rapporti tra politica estera e politica interna

CAPITOLO III

PATROCINANDO SUA LEITURA

I PROBLEMI FONDAMENTALI DELLO SVILUPPO BRASILIANO DAL SECONDO DOPOGUERRA: L’OCCUPAZIONE DELLE REGIONI CENTRALI ED AMAZZONICHE.

 

1. Uno dei problemi fondamentali che lo Stato brasiliano ha dovuto affrontare sin dall’indipendenza é costituito dalle diseguaglianze territoriali.

In generale la societá brasiliana presenta un dualismo accentuato per indici di vita tra Nordest e Sud-Sudest. Le disparitá socio-economiche si riflettono anche in una serie di opposizioni classiche di carattere territoriale (1): centro-periferia, zone rurali – zone urbane, zone di antica colonizzazione – zone di frontiera.

Gli effetti di queste disparitá sono noti: migrazioni verso le regioni piú ricche e spopolamento delle aree periferiche. In Brasile si registra quindi una mobilitá spaziale della popolazione che costituisce uno dei fattori piú difficili da controllare per realizzare una crescita equilibrata e tradurre, quindi, in pratica le aspirazioni di potenza delle classi dirigenti del Paese.

Sulla base della partizione del territorio in cinque regioni principali, adotatta a fini statistici dal Governo sin dagli anni ’50, gli studiosi di geografia politica non hanno esitato a parlare di “Tre Brasili”, ossia il Sud sviluppato (Sudeste e Sud), il Nordest sotto-sviluppato e la “frontiera vuota” e parimenti sottosviluppata (il Centro-Ovest ed il Nord) (2).

 

2. In questo contesto assume quindi un particolare rilievo l’obiettivo dell’occupazione delle regioni Nord e Centro-Ovest che gran parte dell’intellettualità del paese considera uno degli antidoti obbligati per alleviare la povertá del Nordeste ed il sovrappopolamento urbano del Sud-Sudeste (3).

Tali regioni occupano circa i 2/3 del territorio brasiliano, ma sono tradizionalmente rimaste ai margini dei processi economici del Paese.

Parziali eccezioni a questa situazione sono state rappresentate dai movimenti di penetrazione fisica ed economica derivanti dalla scoperta di giacimenti d’oro nel “Planalto Central” (1690) e dal cosiddetto “ciclo della gomma” che nell’800 portó alla fondazione ed alla enorme espansione della cittá di Manaus.

La natura episodica di tali fenomeni e la mancanza di una strategia di occupazione economica da parte delle Autoritá di Governo faceva però seguire a quest’espansione una brusca caduta dei livelli di attivitá con il repentino abbandono e la conseguente decadenza delle aree interessate.

Le autoritá brasiliane attribuivano sin dalla fine del secolo XIX un importante rilievo strategico ad una rafforzata presenza umana nelle  regioni centro-occidentali.

Tale obiettivo era legato alla tutela della sicurezza del Paese e dei suoi approvvigionamenti idrici e delle vie fluviali. In quelle aree hanno infatti origine i principali corsi d’acqua che attraversano le regioni-chiave dal punto di vista economico e demografico. In questa prospettiva la política estera brasiliana della fine del secolo scorso agiva – sotto l’impulso del Barone di Rio Branco-  per ottenere dei limiti della frontiera amazzonica ad essa favorevoli, negoziandoli con la Francia (area di Essequibo) e la Gran Bretagna (area dell’Orinoco) oppure ottenendoli con l’uso della forza, come nel caso della Bolivia alla quale viene strappato il Territorio di Acre (oltre 200mila Kmq) (4).

 

3.  Lo sviluppo economico prosegue nel primo dopoguerra concentrato intensivamente sulla fascia litoranea ed il suo immediato entroterra sia perché basato su colture (caffé e canna da zucchero) che mal si adattavano ai suoli dell’interno sia perché lo scarso popolamento del Paese e la disponibilitá di capitali limitata alle necessità correnti rendeva difficile lanciare un piano di effettiva integrazione delle regioni centrali ed amazzoniche.

Tuttavia era costantemente presente nel dibattito politico uma corrente di pensiero che riteneva indispensabile “interiorizzare” l’attivitá economica. Ció nell’intento di sfruttare integralmente quelle potenzialitá minerarie ed agricole che avrebbero fatto del Brasile una Nazione di peso internazionale e  di offrire inoltre migliori opportunità di reddito e di lavoro alle fasce di popolazione povere e prive di terra.

In queste concezioni sembravano trasfondersi in larga misura le idee espresse alla fine dell’800 negli Stati Uniti nel famoso dibattito sulla “frontiera” e sul “destino manifesto” di quel Paese.

Il Presidente Kubitschek pose per primo in atto queste idee, prevedendo espressamente nel principale documento di programmazione economica del suo Governo – il “Plano de Metas” – lo sfruttamento delle risorse economiche delle regioni interne attraverso la costruzione di una rete di infrastrutture di trasporto e di distribuzione energetica.

 

4. Questi propositi dalle storiche radici trovano però n catalizzatore ed un’effettiva realizzazione solo con la costruzione della nuova capitale: Brasilia.

 

Edificata tra il 1956 ed il 1960 essa ebbe nel contempo un significato simbolico di immagine di un “nuovo Brasile” in espansione potenzialmente illimitata; un significato politico di legittimazione di un potere centrale su tutto il territorio nazionale sottratto al dominio della società costiera; infine un significato economico di contatto tra le aree dinamiche e le aree stagnanti e spopolate oltreché di punto di convergenza delle vie di penetrazione nel Nord e nell’Ovest.

 

5.  Sin dal “Plano de Metas” di Kubitschek l’integrazione dell’Amazzonia nel processo di sviluppo economico fu considerata obiettivo preminente della politica di Governo.

 

Alla fine degli anni ’50 veniva cosí istituita la “Superintendencia do Amazonas” (SUDAM) , ente pubblico incaricato di coordinare le attività di sviluppo della regione della foresta pluviale e di tutto il Nord del Paese.

Tuttavia é solo nella seconda fase del regime militare, dopo il 1968, che questa tradizionale aspirazione si trasforma in vera e propria priorità strategica.

Si può affermare che allora vengano disegnati tre livelli paralleli di gestione territoriale rimasti sostanzialmente validi sino al 1995 . Su scala federale nel Nord e nel Centro, su scala regionale nel Nordeste e su scala delle micro-regioni (o Distretti) nelle zone a maggior sviluppo relativo come gli Stati di San Paolo, di Minas Gerais e del Sud.

 

6. Nel I Piano Nazionale di Sviluppo (PND) del 1972-’74 e, soprattutto, nel II PND (1975-’79) si stabilisce un’azione rapida e combinata per le regioni Nord e Centro-Ovest.

Due sono gli obiettivi principali: 1) creare una maglia completa di controllo tecnico e politico del territorio nazionale attraverso la creazione di reti di comunicazione viarie, urbane e militari; 2) ottenere le risorse minerarie ed agricole che dovevano sostenere il progetto geo-politico di un “Brasile-potenza” in grado di essere edificato con il minor apporto esterno possibile. 

I progetti fondamentali collegati ai Piani sono basati sui cosiddetti “Poli di sviluppo” che riguardano sia l’Amazzonia che le regioni centrali. Questi sono 19 in tutto il Centro-Nord tra i quali vanno menzionati: il Polamazonia, il Polonordeste, il Polocentro e quello del bacino del fiume Paraguay.

In meno di cinque anni vengono così costruiti in quelle aree ben 12.000 km di strade così come  un sistema di comunicazione ad onde ultracorte di 5.110 km di estensione. Nel contempo vengono stimolati flussi migratori dal Nordest verso le regioni amazzoniche e da quelle meridionali (Rio Grande do Sul e Paranà) verso quelle centrali allo scopo di valorizzarne il potenziale agro-pastorale (allevamento di bovini, mais, soia, ecc.). 

Le migrazioni verso l’Amazzonia hanno favorito un tasso di incremento della popolazione molto al di sopra della media nazionale. Mentre la popolazione complessiva aumenta del 27% e del 14%, rispettivamente, nei periodi 1970-1980 e 1980-1985, nello Stato di Amazzonia tali percentuali raggiungono rispettivamente il 56% ed il 23%.

 

7.  All’inizio degli anni ’80 si delinea peraltro un mutamento di strategia causato soprattutto dalla montante crisi economica. Inizia l’epoca delle “marce forzate” dei migranti da una localitá all’altra di quelle regioni in cerca di sistemazioni più favorevoli e dei progetti di sfruttamento minerario eseguiti da imprese statali che cercano di mantenere la crescita economica mediante le esportazioni del settore.

Mentre il simbolo della strategia precedente era rappresentato dalla Transamazzonica, quello della nuova politica é il Programma “Grande Carajas”. Questo viene coordináto da una Segreteria speciale vincolata alla Segreteria della Pianificazione (SEPLAN) che assume il controllo politico-amministrativo di un immenso territorio di 90 milioni di ettari (10% del territorio brasiliano), mentre le attivita’ di estrazione dei minerali di ferro (secondo giacimento mondiale) e di gestione della ferrovia Sao Luis-Carajas sono assegnati in concessione all’impresa pubblica “Companhia do Vale do Rio Doce”.

 

8.  Il relativo arretramento del problema della “frontiera” quale priorita’della politica economica del Governo é dovuto innanzitutto alla crisi del debito che assorbe per il suo ripagamento i fondi per gli investimenti pubblici nella regione ed in parte alla progressiva apertura del regime che porta ad abbandonare le aspirazioni di trasformare il Brasile in una potenza autarchica regionale.

É inoltre da notare che comincia a prendere corpo una visione critica delle politiche di occupazione dell’Amazzonia che, lungi dal creare il benessere atteso, sovente portano alla distruzione di vaste aree di foresta ed all’impoverimento dei suoli coltivabili a causa delle tecniche di sfruttamento intensivo adottate (5). 

Le valutazioni sul disboscamento sono divergenti: nel 1989 il Presidente Sarney lo indicava nel 5% dell’area forestale, alcuni scienziati citavano 1’8%. Nonostante le raccomandazioni emanate dalla Conferenza di Rio, sembra che valori addirittura del 12% fossero più realistici. Le conseguenze di tale situazione per gli equilibri ambientali mondiali sono peraltro ampiamente note e sono state alla base della grande stagione negoziale internazionale avviata con il Protocollo di Montreal (6).

L’allontanamento delle Forze Armate dai centri di comando nazionali a partire dal 1992  ha fatto sì che l’unico progetto federale di valore strategico-militare lanciato in quel periodo sia il Programma “Calha-Norte”, lungo la frontiera nord-occidentale (confini con Venezuela e Colombia). In tale zona infatti alle tradizionali preoccupazioni per la sicurezza dei confini, si sommano quelle del controllo dello spazio a seguito delle infiltrazioni di narco-trafficanti e degli incidenti tra popolazioni indigene e cercatori di oro (“garimpeiros”), soprattutto nello Stato di Roraima che hanno suscitato ripercussioni internazionali negative per il Brasile. 

Non sono invero mancate nel dibattito interno posizioni ancora legate ad una visione dell’Amazzonia come area da difendere dalle mire di conquista straniera. Ad esempio, nel 1990 veniva reso pubblico un documento interno della Scuola Superiore di Guerra (ESG) che attribuiva al movimento ecologico internazionale la responsabilità di “creare teste di ponte politiche che potrebbero richiedere grande sforzo da parte delle Autorità (brasiliane – N.d.A) con il probabile ricorso alla guerra” (7) .

 

9. Nel complesso queste posizioni “ultra-nazionaliste” sono risultate sempre più limitate. Un motivo di controversia interna é stato invece rappresentatato  dalla modalità di tutela della  popolazione  indigena. Gli indios del Brasile erano circa 5 milioni all’epoca della conquista portoghese; 1 milione all’inizio dell’800; 500mila all’inizio del XX secolo e circa 220.000 nel 1990, suddivisibili in 200 etnie differenti (8).

Una volta intensificatisi i contatti con le popolazioni della foresta, lo Stato brasiliano ha istituito, a partire dal 1910, un Servizio di Protezione all’Indio, divenuto nel 1967 FUNAI (Fondazione Nazionale dell’Indio). 

Dal canto suo l’articolo 231 della Costituzione del 1988 riconosceva agli indios “la loro organizzazione sociale, i costumi, le lingue, le credenze e tradizioni ed i diritti originari sopra le loro terre che tradizionalmente occupano, mentre spetta allo Stato di identificarle e tutelarle”. Si evidenziano così i due principali problemi della politica indigenista: la conservazione dell’identità e la proprietà delle terre.

La FUNAI auspica una progressiva integrazione che, preservandone la cultura al massimo grado possibile, faccia loro beneficiare delle principali conquiste della società occidentale, soprattutto in campo medico ed educativo; gli ecologisti più radicali ritengono invece che il “contatto con il bianco” sia di per sé foriero di distruzione culturale ed introduca gli aspetti più deteriori del modo di vita civilizzato.

Circa la proprietà delle terre, la FUNAI aveva riservato loro nel 1985 467 aree per un totale di 82 milioni di ettari, pari a circa il 10% del territorio brasiliano. La delimitazione che avrebbe dovuto terminare nel 1993 é però ancora in corso, ostacolata fra l’altro da una serie di ricorsi di proprietari terrieri ed esponenti politici conservatori alle massime autorità giudiziarie allo scopo di far considerare l’incostituzionalità dei Decreti che regolano tali procedimenti.

 

10. Con l’inizio della democratizzazione le direttrici di politica amazzonica si sono quindi rivolte ad individuare programmi di “sviluppo autonomo” (o “sostenibile” con un termine che diventerà successivamente in voga) . Il quadro normativo di tali interventi é racchiuso nel programma governativo “Nossa natureza”, lanciato nel 1988.

Tale programma intendeva disciplinare l’utilizzo del territorio e delle risorse della cosiddetta “Amazonia Legal” (9) che, oltre ad impostare una fase di valutazione e pianificazione dei problemi del territorio, ha sospeso la concessione, di incentivi fiscali e di crediti ufficiali alle aziende agro-zootecniche e le autorizzazioni all’esportazione di legname grezzo. Queste due attività sono infatti ritenute le più devastanti per gli equilibri ecologici. 

Di fatto si sono registrati risultati non univoci, imputabili in larga misura alla scarsità di risorse da destinate alle attività di controllo ambientale e di demarcazione delle terre indigene. A poco a poco si costruisce invece il concetto di “frontiera mobile” che lascia ampio spazio alle politiche di popolamento e di investimento perseguite dai singoli Stati della regione, divenuti soggetti politici di rilievo in seguito alla democratizzazione. La difficile congiuntura economica ha poi spinto progressivamente, soprattutto a partire dal 1991, a far riprendere sia i nuovi acquisti di terra da parte di coloni esterni che l’erogazione di incentivi alle attività agro-pastorali.

Circa le popolazioni indigene, il Ministro della Giustizia del governo Cardoso, Jobim,  sottolineava nel 1996 che una rapida demarcazione  delle terre era nell’interesse nazionale. Infatti essa, lungi dall’impedire lo sviluppo economico, potrebbe favorirlo in quanto i nuovi investimenti espansivi verso le regioni amazzoniche (ritenuti comunque necessari) hanno evidentemente bisogno di chiarezza giuridico- amministrativa circa lo “status” di proprietà delle aree.