A ítalo-brasileira Ilze Scamparini. (Foto Cedida)

Nell’inaugurare questa nuova rubrica di Insieme nella quale racconteremo le storie dei tanti brasiliani di origine italiana che hanno scelto di vivere e lavorare in Italia – una sorta di ritorno alle radici familiari – abbiamo scelto di intervistare colei che molto probabilmente è la più popolare e famosa. La seconda onda della pandemia da Covid 19 ci ha impedito di incontrarla personalmente a Roma, com’era previsto, ma anche a distanza Ilze ci ha raccontato il suo lungo percorso professionale in Italia, i tanti eventi storici dei quali è stata testimone, quelli che l’hanno toccata maggiormente, la visita al paesino veneto dove nacque suo nonno Mario, i pregi e i difetti degli italiani visti con gli occhi di un’oriunda come lei.

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Sono davvero pochi i brasiliani che non conoscono Ilze Scamparini. Impossibile non aver seguito in tv qualcuno dei suoi reportage dall’Italia per TV Globo, anche perché sono più di 20 anni che Ilze racconta agli spettatori del maggior network televisivo brasiliano cosa succede nel “Bel Paese”: vicende politiche, cronache, calamità naturali, moda, cultura, costume, insediamento di Papi e Capi di Stato… Quattro lustri in una medesima sede di corrispondenza dall’estero (per la radiotelevisione o per la carta stampata) sono un periodo insolitamente lungo, al punto che Ilze probabilmente detiene un record nella sua professione.

Il suo stile giornalistico potrà non piacere a tutti, com’è naturale che sia, ma un fatto è certo: Ilze Scamparini è una professionista seria, preparata, puntuale e sempre “sul pezzo” (come si dice in Italia). Una corrispondente che in tutti questi anni ha raccontato l’Italia – e gli italiani – alla grande platea brasiliana non perdendo mai l’occasione di sottolineare, assieme alle nostre magagne, anche i nostri lati migliori: la ricchezza del patrimonio artistico, le eccellenze enogastronomiche, il made in Italy, le bellezze paesaggistiche e tanto altro ancora.

Signora Scamparini, come Le è nata la passione per la sua professione e come sono stati i primi anni di apprendistato? Da giovane aveva qualche modello di giornalista che la ispirava in particolare?

È nata della lettura, dalle mie visite molto frequenti alla biblioteca di Araras, dalla mia passione per la lingua e la letteratura portoghese, del grande affetto per la Madre Leda, suora Salesiana che insegnava portoghese nel mio collegio. È nata dai giornali affissi in bacheche che facevo con grande curiosità e dedizione. Era una forma di espressione molto forte per una preadolescente. E lo capisco ancor di più oggi, perché abito quasi davanti alla Statua di Pasquino, a Roma, una delle statue parlanti della città che, fin dal XVI secolo, riceve critiche e lamentele degli scontenti e la satira contro i personaggi di potere.

Lei è arrivata a Roma nel pieno dei suoi anni e già con una certa esperienza professionale alle spalle. Com’è stato il primo impatto con la realtà italiana? L’idea che aveva del nostro Paese e della nostra gente prima di venirci a vivere stabilmente è stata confermata negli anni?

In realtà ci ero venuta molte volte come inviato speciale. Così ho seguito molti momenti della vita italiana negli anni dal 1980 al 1990. Il periodo dell’assassinio dei giudici Falcone e Borsellino, per esempio, nel 1992. Quando i militari giunsero in Sicilia per intervenire nella città dominata dalla mafia. Un’esperienza che non dimentico. È stato molto emozionante vedere i giovani siciliani svegliarsi per la necessità di abbattere il muro del silenzio.

Ho anche seguito parte dell’operazione Mani Pulite. Era un periodo di grande speranza. 

Oltretutto, quando ci sono arrivata per viverci, sette anni dopo, la moneta in vigore era ancora Lira. Due anni dopo sarebbe arrivato Euro… così mi sono ritrovata nel sogno dell’Unione Europea, che finalmente stava diventando realtà. 

Oggi sembra che sia passato molto tempo…e quando vedo come alcuni paesi del blocco impediscano l’arrivo degli immigranti, lasciando altre nazioni europee, come l’Italia, in una condizione penosa, con un eccesso di immigranti, senza condividere l’accoglienza, credo che questo sogno sia molto difficile da concretizzarsi. Ma è stato un grande impatto positivo il mio arrivo in Italia, quando iniziai ad assaporare tutti i cibi deliziosi della terra, e ancora oggi continuo (risate). Non mi sono mai illusa, sapevo molto bene delle differenze tra Brasile e Italia. Ovvio che l’Italia venerata in Brasile da quegli immigranti che arrivarono giovani, quell’Italia non esisteva più da molto tempo.

Domanda speculare: vivendo da tanto tempo in Italia, secondo lei l’opinione che gli italiani hanno del Brasile e del popolo brasiliano è ancora condizionata e limitata dai vecchi pregiudizi e luoghi comuni (il calcio, le favelas, il carnevale…)?

Credo molto meno. Ma il calcio è un luogo comune perché unisce le persone e l’italiano è fissato con il calcio, in particolare ognuno per la sua squadra. I miei amici conoscono molto il Brasile: scrittori, poeti della corrente del concretismo, compositori. E sanno anche i nostri drammi, di sicuro.

Nei primi giorni di marzo i telespettatori brasiliani rimasero colpiti nel vederla visibilmente commossa nel raccontare le prime drammatiche fasi dell’emergenza sanitaria in Italia. Cosa la emozionò di quella cronaca al punto da farle perdere per alcuni momenti il distacco con il quale il giornalista racconta i fatti?

Fino ad oggi è difficile parlare di quel giorno… 

Razionalmente quello che posso dire è che era il primo giorno di isolamento di un paese intero, per la prima volta nella storia. Nessuno sapeva come sarebbe stato. Sapevamo che se fossimo stati malati in una certa gravità, le possibilità di sopravvivenza potevano essere minime perché non c’era più spazio negli ospedali. Da oltre due settimane stavo intervistando persone che avevano perso qualcuno in famiglia, accompagnando questa grande sofferenza che si accumulava. E la notizia più angustiante fu che stavano scegliendo le persone che potevano continuare a vivere e quelle che dovevano morire. Quando ho parlato di questo argomento non potevo sopportare il peso di questa informazione senza commuovermi. Le prospettive erano queste in Italia: la vita appesa ad un filo. 

Eravamo molto nervosi fin dall’inizio, fin dai giorni precedenti. La cosa più spaventosa è che oggi tutto sembra quasi normale. È terrificante, per usare una parola italiana che è più forte di terribile, in portoghese. O terrifico.

In questi anni ha accompagnato le vicende di tre Papi (Scamparini è anche vaticanista), di quattro Presidenti della Repubblica, di undici Presidenti del Consiglio dei Ministri e di decine di Ministri. Da Roma, la sede del potere politico, ha visto il declino di Berlusconi, l’ascesa e il declino di Renzi, l’ascesa e il declino di Salvini, l’ascesa dei “Cinque Stelle”, un movimento di fatto fondato da un attore comico… Che idea si è fatta della politica italiana?

Beh, non ha parlato di D’Alema, Amato, Prodi, Mario Monti, Letta…tutti capi di governo che ho conosciuto e che ho visto cadere, uno dopo l’altro. Per chi viene da un paese presidenziale, la convivenza con il parlamentarismo è molto interessante, anche perché ti sembra immediatamente più democratico. Non sempre ciò corrisponde alla verità. La politica italiana è unica, a partire dalla passione del popolo per la politica. È quasi una dipendenza. E anche è sorprendente che qui, quando un politico viene “fatto fuori”, sembra che muoia per sempre. L’esempio di Occhetto è pertinente. Bertinotti, Bersani, politici molto validi che sono andati a prendersi cura dei nipoti, una pena. I papi sono un capitolo a parte…

Il suo lavoro l’ha portata a viaggiare in lungo e in largo per l’Italia visitando le

grandi città ma anche i piccoli centri che compongono il nostro tessuto sociale, così straordinariamente vario nel carattere della gente, nelle abitudini, nei dialetti… Quante Italie ha visto? Ce n’è una, di queste tante Italie, che l’ha affascinata più di altre?

L’Italia delle isole, piccole e grandi come Sicilia e Sardegna, l’Italia “cowboy” della Toscana, l’alta Italia del design raffinato, unico, l’Italia dei monasteri, delle terme, delle botteghe che ancora esistono, l’Italia del Rinascimento, la barocca e la medievale. L’Italia di tutti i cibi da Nord a Sud. Ogni piccola città di 200 abitanti ha un piatto tipico ed un museo con un’opera importante. Solo qui si trova tutto ciò. Un’Italia che non mi piace è quella dei terremoti…

Suo nonno Mario Scomparin emigrò in Brasile da Fossalta di Piave (in Provincia di Venezia) nei primi anni del Novecento. Ha mai avuto occasione di tornare nei luoghi delle sue origini? Se sì, che impressione ha avuto di quel paesino di neanche 5 mila anime adagiato sulle sponde di un fiume, il Piave, che gli italiani definiscono “sacro”?

Sì, un bellissimo ritorno. Sono stata ricevuta dal sindaco di Fossalta di Piave, con la fascia tricolore sul petto, davanti al comune. Vicino a lui c’era il responsabile dell’archivio con il registro delle nascite in mano, aperto sulla pagina della mia famiglia. Mi ha fatto vedere quattro o cinque generazioni di Scomparin. Il mio cognome venne poi cambiato in Brasile. Insieme al sindaco c’era anche un signore che era un mio parente e che vive lì. Ho conosciuto la città accompagnata da loro, è stato meraviglioso. Quella è una regione che ha sofferto molto durante la prima guerra mondiale. Nella città di mio nonno, a Fossalta di Piave, Ernest Hemingway fu ferito quando era corrispondente di guerra. Il sindaco ha ricostruito quei momenti, dal ferimento all’essere soccorso, con grandi targhe metalliche. Un bel lavoro.

Lei è nata in una famiglia molto “italiana” (sia da parte di padre, che di madre) all’interno dello Stato di San Paolo, che è senza dubbio l’area più vastamente popolata di oriundi italiani di tutto il pianeta. Quanto ha influito questa italianità nella sua formazione culturale e professionale?

I miei nonni hanno continuato a parlare dialetto durante tutta la loro vita. Non hanno mai imparato bene il portoghese. La città era formata da discendenti di italiani quindi questa presenza è stata molto forte. Il mio collegio, Maria Ausiliatrice, la cui sede si trova a Torino, in Italia, ogni tanto riceveva anche suore italiane. Ma quando sono andata a Bahia per la prima volta, ho scoperto il Brasile. È stato magico. E questo scoprire aumentò quando mi trasferii a Rio de Janeiro. Con il mio lavoro presso Globo Repórter, negli anni, ho iniziato a conoscere il territorio brasiliano e nuovi mondi mi si sono aperti: il Brasile meticcio, indio, africano, amazzonico. E il Brasile italiano di San Paolo e del Sud del paese. 

In Italia, periodicamente, i politici tirano in ballo lo ius sanguinis e lo ius soli, nel senso che da più parti si vorrebbe passare dall’attuale modello (lo ius sanguinis, tipico dei Paesi a forte emigrazione) ad uno considerato più in linea con i tempi che stiamo vivendo e con la legislazione di gran parte dei Paesi del mondo (lo ius soli, in sintesi: è italiano chi nasce nel territorio italiano). Lei si è fatta un’idea di questa problematica della quale si discute da anni?

Credo sia ingiusto che i figli di immigranti che nascono in Italia, ma che crescono qui, che parlano la lingua italiana perfettamente, debbano aspettare anni o decenni per la cittadinanza.

Tre soli aggettivi per descrivere i difetti degli italiani e tre per i pregi. 

Come difetti, direi l’indifferenza, intesa come “menefreghismo”, l’individualismo ed una certa furbizia, la necessità di voler fregare il prossimo. Allo stesso tempo, riconosco come qualità la generosità, l’innovazione ed il buon gusto.

Cosa farà la Signora Scamparini da grande? Ha qualche progetto per il futuro? Quando terminerà la sua collaborazione con Rede Globo immagina che passerà sei mesi in Brasile e sei mesi in Italia oppure pensa che la saudade per il “Bel Paese” non sarà così forte? 

Penso che il progetto di sei mesi in Brasile e sei mesi in Italia sia molto seduttivo. Con un periodo anche a Búzios…☑