u ROMA – ITALIA – Brasile tra il 1945 ed il 2000 con particlare riferimento ai rapporti tra politica estera e politica interna
CAPITOLO VIII – LA LIBERALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA BRASILIANA ED I SUOI RIFLESSI SULLE RELAZIONI ESTERNE
1 – Per almeno un secolo, dal 1889 al 1989, il Brasile repubblicano é stato relativamente chiuso ai rapporti con l’
Dopo l’acuta recessione dovuta alla seconda crisi petrolifera, il Brasile cresce tra il 1984 ed il 1990 ad un ritmo modesto rispetto ai livelli abituali (4%). Il reddito pro-capite del 1989 é superiore solo dell’1,8% rispetto al 1980 il che fa parlare di una “decade perduta”.
Uno dei pochi fattori positivi é invece costituito dagli scambi commerciali con l’
2– La strategia del “modello esportatore” mostrava tuttavia crepe evidenti (1). Esso infatti si basava su di un’equazione relativamente sernplice: contenimento della domanda interna mediante bassi salari; aggressiva politica di esportazione a sua volta sostenuta da una política cambiaria di frequenti svalutazioni della moneta; scarsa pressione fiscale sul settore industriale e, soprattutto, sulla proprietá agricola.
Dopo il 1980 la stessa dinamica politica democratica tende a disequilibrare il modello: le rivendicazioni salariali, a lungo represse, innescano aumenti di costo per le imprese che le scaricano sui prezzi; i nuovi cornpiti sociali dello Stato e le esigenze di legittimazione dei governatori locali eletti fanno lievitare il disavanzo del deficit pubblico dal 3% del 1981 all’8% del 1988, un livello insostenibile nel medio periodo.
Nell’opinione degli economisti brasiliani tale stato di cose, unito agli esborsi per il debito
Il tasso globale di investimenti si riduce infatti del 4-5% rispetto al PIL tra il 1980 ed il 1990, colpendo soprattutto settori infrastrutturali strategici per l’ammodernamento del Paese. Dal 1985 si registra anche una battuta d’arresto negli investimenti esteri diretti (IDE) che, invece, per quasi un trentennio hanno sostenuto buona parte dello sviluppo industriale brasiliano (tabella 5).
L’elevatissimo tasso d’inflazione di quel decennio costituisce invece in larga misura un’eredità del regime militare. L’aumento dei prezzi era alimentato, da un lato, dalla ricerca della crescita economica rapida e spesso non compatibile con le risorse interne e, dall’altro, da fattori esterni quali il ricordato “shock” petrolifero e l’esaurimento degli apporti di risorse straniere in conseguenza della crisi del debito internazionale iiziata con la moratoria del Messico nel 1982.
Inizialmente si affermava la convinzione che le radici dell’inflazione fossero soprattutto di carattere psicologico, legate alla generalizzata indicizzazione dell’economia (la cosiddetta “inflazione inerziale”). Analisi di questo tipo indussero quindi, tra il 1985 ed il 1989, l’adozione di una serie di piani di risanamento economico che prevedevano congelamenti di prezzi e salari (in particolare il “Plano Cruzado” del 1986) i quali sarebbero però terminati con altrettanti insuccessi.
3 – In realtá la “Nuova Repubblica” di Sarney , indebolita dai conflitti tra gruppi sociali ed economici, non riusciva a realizzare attraverso questi piani “eterodossi” quella redistribuzione del reddito in favore dei ceti meno abbienti che figurava tra gli obiettivi principali del governo ed era la sua principale fonte di legittimazione. Viceversa, ad ogni programma di risanamento seguivano distorsioni sempre piú accentuate nel sistema economico che, a loro volta, contribuivano ad elevare il livello dei prezzi ed a deteriorare, in ultima analisi, la crescita economica.
Dal 1989 invece si individua il deficit pubblico come principale causa delle tensioni inflazionistiche, ma non si riesce a trovare il consenso politico necessario a far passare le misure di controllo nel Congresso brasiliano (deindicizzazione, riduzione della spesa pubbica e dei privilegi di gruppi corporativi e di poteri dello Stato come la magistratura e le forze armate).
Questa situazione era sintetizzata così dall’autorevole economista Andrè Lara Resende: “L’esperienza ci ha insegnato che, se si vuole realizzare un piano contro l’inflazione, il problema é meno di formulazione che di forza politica”.
4 – É quindi il Presidente Collor, nel suo breve mandato dal 1990 al 1992, ad affrontare in modo radicale il problema. Nel suo insediamento egli adotta una politica di shock tramite il congelamento delle spese pubbliche e dei risparmi bancari privati superiori ad un modesto ammontare. In parallelo, egli cerca di affrontare i due vincoli strutturali del Paese che andavano vieppiú aggravandosi a causa dell’inflazione: l’accesso alla tecnologia avanzata e la riduzione del peso del debito
Il suo staff ritiene che la crescente interdipendenza (2) dell’economia mondiale imponga al Brasile una sollecita apertura economica.
Come ricordato nel primo capitolo, essa era parte di una più ampia riforma amministrativa ed economica.
Mentre queste ultime falliscono sia per i metodi poco corretti di gestione dello stesso Presidente (3) sia per le resistenze della burocrazia federale, l’apertura economica invece si consolida. Essa comporta un continuo e sensibile abbassarnento delle barriere tariffarie (dal 50 % medio nel 1989 al 15% nel 1995), la fine delle “riserve di mercato e stimoli fiscali ed amministrativi all’afflusso di capitali di rischio in particolare mediante l’abolizione dei controlli valutari da parte del Banco Central. Sulla spinta del cosiddetto “Consenso di Washington” si tenta di adottare lo stesso modello che stava accompagnando le “success stories” di Cile e Messico-per limitarci all’America Latina- e che iniziava a delinearsi anche in Argentina, Paese con il quale i rapporti –come si é visto- andavano facendosi sempre più intensi.
Nel breve periodo i risultati delle inziative di Collor apparivano tuttavia negativi: recessione produttiva ed ulteriore accelerazione dell’inflazione creavano forti perplessità all’interno del Paese sull’adozione di tale nuova politica. Le opposizioni di sinistra rispolveravano la bandiera del nazionalismo economico e guadagnavano crescenti consensi in vista della successiva tornata elettorale.
5 – Nel contempo andava parzialmente allentandosi il vincolo del debito
Il governo brasiliano compiva così nel 1986 il grave passo di decretare una moratoria dei pagamenti sul debito dovuto alle banche ed ai governi creditori (ma non alle Istituzioni Finanziarie Internazionali). La sospensione dei pagamenti sarà revocata l’anno successivo di fronte ai vistosi segni di malumore dei partners occidentali, ma peserà a lungo sull’immagine soprattutto sull’affidabilità del Paese nei mercati finanziari internazionali.
Lo stock del debito oscilla comunque di poco tra il 1985 ed il 1995 (tra 105 e 110 miliardi di dollari), mentre il rapporto tra servizio del debito rispetto alle esportazioni (il “debt-ratio” piú importante per verificare la capacità di rimborso) é calato dal 62% del 1986 al 25% nello stesso periodo.
Nell’aprile 1994 veniva poi concluso, dopo ben dodici anni di negoziato, un importante accordo di ristrutturazione del debito con le banche private creditrici. Tale accordo si riferiva ad un ammontare di circa 50 miliardi dollari con un pagamento allungato sull’arco di dieci anni e, soprattutto, con un consistente aumento della parte di debito da rimborsare a tassi d’interesse fissi. In tal modo il Brasile si metteva al riparo dalle fluttuazioni imprevedibili dei mercati internazionali che lo avevano tanto pregiudicato dal 1982 in poi.
6 – Quest’accordo precedeva soltanto di pochi mesi l’adozione del “Plano Real” e ne costituiva una condizione preliminare.
Il piano si delinea come il punto di svolta della politica economica brasiliana dell’ultimo ventennio. Articolato dal Ministro delle Finanze dell’epoca, Fernando Henrique Cardoso (poi divenuto Capo dello Stato), esso riusciva nel suo rincipale obiettivo di ridurre l’inflazione a livelli compatibili com quelli internazionali, ricreando il clima di fiducia indispensabile per una ripresa degli investimenti produttivi sia interni che esteri.
Il piano prevedeva che la nuova moneta brasiliana – il Real – fosse ancorata al dollaro (per ogni real emesso vi doveva cioè essere un dollaro depositato nelle casse della Banca Centrale) e, grazie alle ingenti riserve detenute in quella fase dal Brasile, il tasso di cambio addirittura si rafforzava rispetto alla valuta americana del 10-15% in due anni.
Quest’andamento contribuiva ad accrescere sensibilmente le importazioni che, nella strategia del governo, hanno un ruolo importante nella lotta all’inflazione concorrendo con i prodotti nazionali, a ragione ritenuti eccessivamente protetti e sovente oggetto di “cartelli” dei produttori.
7 – La produzione industriale aumentava così nel 1994 del 6% ed anche nel periodo successivo l’economia riprendeva ad espandersi a tassi contenuti , ma comunque prima in linea e poi superiori al resto dell’America latina (v.tab.6). Pur non tornando ad essere la “locomotiva” del sub-continente, questa crescita permetteva di riprendere un’azione di politica estera meno timida e ripiegata su sé stessa.
Soprattutto nel primo mandato di Cardoso aumenta in misura significativa il reddito pro-capite, in particolare quello dei lavoratori a reddito fisso non più aggrediti dall’inflazione.
L’economia autarchica brasiliana si inserisce quindi progressivamente nei mercati internazionali a partire dal 1994, ma paga la crescente interdipendenza e la miglior qualità dei prodotti con una perdurante tendenza alla contrazione dell’attivo commerciale. Anzi nel triennio 1995-1997 appare addirittura un deficit da imputare all’eccessiva valorizzazione della moneta per controllare l’inflazione.
Nondimeno ciò impone una politica di inserzione internazionale più attenta ed un maggior coordinamento tra settore privato e governo di quanto non venisse comunemente ritenuto nella fase di accentuata liberalizzazione che ebbe luogo tra il 1990 ed il 1995 (5).
Infatti, nonostante la creazione dell’Organizzazione, Mondiale del Commercio dal 1995, i rischi sugli scenari internazionali per il Brasile non diminuiscono.
Per contro le nazioni più forti tendono a creare piuttosto un “managed trade” con i partner più importanti (sono in auge i “Voluntary Resrictons Agreement” (VRA’s), pur accettando formalmente tutte le regole e le implicazioni del multilateralismo (si pensi ai negoziati tra Stati Uniti e Giappone sui cosiddetti “impedimenti strutturali”) .
Il Brasile non si sottrae alla tendenza.
Come é stato notato (6) , il Brasile si é trovato un decennio orsono nella difficile situazione di “difendere un sistema multilaterale di commercio senza disporre del potere politico necessario a conferire credibilitá a tale sistema”. Era quindi necessaria una riforma amministrativa ed istituzionale dello Stato per affrontare il nuovo contesto economico internazionale nel quale i consueti punti di forza del Paese (manodopera abbondante ed a basso costo, ricchezza di risorse naturali) avevano un’ importanza ridotta. Lo sforzo in campo internazionale doveva rivolgersi ad individuare effettive collaborazioni produttive con i Paesi del Mercosul e le cosiddette “finestre dell’opportunita’” (7), se si voleva evitare che, a differenza della vicina Argentina, la modernizzazione economica comportasse la distruzione di quell’apparato industriale che – come abbiamo visto – era stato il frutto di mezzo secolo di specifiche politiche pubbliche.
Resta infine da chiarire se e quando il Brasile abbia finalmente interrotto la tendenza alla caduta delle ragioni di scambio che molti studiosi (8) hanno osservato a partire dalla seconda crisi petrolifera del 1979/81.
Un’esame sintetico dei flussi commerciali in valore comparati ai volumi mostrano una tendenza al peggioramento ininterrotta dal 1980 al 2001 in linea con la generale caduta del valore globale delle materie prime sia agricole che minerarie. La bilancia commerciale riesce tuttavia ad invertire tale andamento nel 2003 e nel primo semestre del 2004, distaccandosi tra i PVS e presentando un andamento analogo a quello degli altri BRIC’s (ossia Cina, India e Russia) (9).
La durata e la profondità di questa tendenza potranno indicare se il Brasile si avvia ad uscire stabilmente dal gruppo delle economie “periferiche” per entrare in quelle a relativa autonomia (10).
TABELLA 5. Flussi e Ammontari di Investimenti Diretti Esteri (IDE) nei principali PVS (1993) |
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1993 |
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1993 |
PAESE |
IDE FLUSSI MIL.NI US$ |
PAESE |
IDE STOCK MIL.NI US$ |
Tutti i PVS |
73,351 |
Tutti i PVS |
500,896 |
10 Principali PVS |
|
10 Principali PVS |
|
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1.Cina |
27,515 |
1. Cina |
57,172 |
2. Singapore |
6,829 |
2. Singapore |
50,802 |
3. Argentina |
6,305 |
3. Indonesia |
44,116 |
4. Malaysia |
5,206 |
4. Messico |
41,912 |
5. Messico |
4,901 |
5. Brasile |
40,371 |
6. Indonesia |
2,004 |
6. Malaysia |
26,936 |
7. Thailandia |
1,715 |
7. Arabia Saudita |
22,463 |
8. Hong Kong |
1,667 |
8. Argentina |
21,701 |
9. Colombia |
950,00 |
9. Hong Kong |
17,669 |
10. Taiwan |
917 |
10. Taiwan |
13,824 |
|
|
|
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VALORE TOTALE |
58,009 |
|
336,997 |
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% di tutti i PVS |
79,1 |
|
67,3 |
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FONTE: UNCTAD, World Investment Report 1995 |
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TABELLA 6 – VARIAZIONE PERCENTUALE DEL PIL – TASSO MEDIO ANNUALE |
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1990-1993 |
1994-1998 |
1999-2002 |
BRASILE |
0,3 |
3,4 |
2 |
AMERICA LATINA |
4,6 |
3,7 |
0,7 |
UNIONE EUROPEA |
1,6 |
2,7 |
2,1 |
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FONTI: BANCA MONDIALE ED OCSE |