u CURITIBA – PR – A edição de fevereiro da Revista Insieme que começou a circular logo após o Carnaval traz contundente denúncia sobre as “filas da cidadania” diante do Consulado Geral da Itália em Curitiba. Há quem duram até seis noites (noites e dias) na fila aguardando a vez para ser atendido pelos poucos funcionários do consulado. Na mesma edição, o cônsul geral Riccardo Battisti explica como vê o problema e admite não ser um problema de fácil solução. Além dos que dormem na fila à espera de meros carimbos de autenticação sobre documentos (o serviço é chamado de legalização), há a fila eletrônica, com um número calculado em torno de 80.000 pessoas, que há cerca de três anos está praticamente parada, e ainda uma outra fila formada por documentos de interessados na cidadania “iure sanguinis” enviados por municípios italianos.

PATROCINANDO SUA LEITURA

A situação do consulado de Curitiba, segundo a matéria publicada pela revista, é uma das mais difíceis dentre todos, com poucos recursos para fazer frente à grande demanda.

A edição aborda também os desdobramentos do problema, incluindo o aspecto mercantil criado a partir das dificuldades no reconhecimento da cidadania “iure sanguinis”. Segundo a revista, há quem gaste mais de R$ 25.000,00 (fora o preço das passagens) para obter o reconhecimento de cidadania a partir de algum município italiano.

Na seqüência, Insieme aborda a proposta feita pelo patronato Ital-UIL: realizar na América do Sul o mesmo trabalho que é feito pelos patronatos na Itália no se que refere ao atendimento de extra-comunitários. O serviço seria completamente gratuito para os interessados. Leia a matéria principal, na íntegra:

 

(veja a abertura da matéria em pdf)

 

u UMILIANTE !

 

Mentre il Consolato Generale di Curitiba non accetta nuove domande di cittadinanza, le persone devono stare fino a sei giorni in fila (giorno e notte) per ottenere un semplice timbro su alcuni documenti.

 

Si parla di elevate somme nel “mercato della cittadinanza” praticate in alcuni comuni italiani da intermediari ben organizzati: 1.000 Euro di acconto al momento della consegna dei documenti; 5.000 Euro al termine della pratica; tra i 330 e gli 800 Euro al mese di affitto per garantire la residenza ad un processo che può anche durare tre, sei o più mesi, includendo gli eventuali extra per gli interpreti (non tutte le “vittime” capiscono o parlano l’italiano) valutati sulla base di 100 Euro per servizio. Poi c’è il costo dell’alimentazione, dei biglietti aerei, dell’inoltro dei documenti qui in Brasile, insomma tutto ciò può facilmente arrivare a 25.000/30.000 Reais. In questo mercato – assicurano certe fonti – ci sono altri indizi dell’intrigante efficenza di una macchina complessa e ben oliata. Come, per esempio, l’essere nell’indirizzo indicato come residenza nell’esatto orario e giorno in cui i vigili, ossia il corpo di polizia che è responsabile del controllo obbligatorio (ci sono richiedenti che abitano a Roma e risultano residenti a Venezia, Verona o altre città), fatto che in verità denoterebbe una anche innegabile collusione delle autorità italiane nel processo… questo e ben altro.

Prove? Nessuno è disposto ad esporsi. Quindi le notizie sopra riportate devono essere considerate come affermazioni “in off” (potremmo dire sotto voce) che coinvolgono anche, e non raramente, nomi conosciuti in seno alla comunità italo brasiliana. Le informazioni indicano di rendite favolose di intermediari che sfruttano commercialmente il “business della cittadinanza”. Ovvio: abbiamo preso l’esempio di 35 interessati all’indirizzo fittizio in un appartamento pluriabitato di una qualsiasi località italiana ai prezzi indicati. Insomma parliamo di minimo 25.000 Euro al mese. Come si suol dire “se non è vero, è ben trovato”.

Vere o no che siano le somme, le bustarelle, i personaggi e le procedure, non si può negare, comunque, che da alcuni anni il movimento delle persone e dei documenti che attraversano l’oceano Atlantico alla ricerca della cittadinanza italiana “iure sanguinis” è cresciuta. Ed anche che l’origine di tutto ciò è direttamente collegata al fatto che sono sempre più grandi le difficoltà ad ottenerla nel luogo di origine – qui o in Cina – il riconoscimento di un diritto che la legge garantisce a tutti i discendenti di immigranti italiani. Così, più grande è la difficoltà maggiore è il business del mercato delle facilitazioni. O meglio, delle possibilità.

Accade, quindi, che una pratica di riconoscimento di cittadinanza italiana che potrebbe essere ottenuta quasi gratis e realizzata in una forma piacevole sta oggi costando molto denaro e sacrifici. Ed arricchendo intermediari qui e nella Penisola, oltre che a costituire una fonte straordinaria di reddito per gli stessi consolati, i quali, eternamente reclamando la mancanza di struttura e risorsi, hanno finito per trasformarsi in semplici autentificatori di documenti, o meglio, di timbri. Servizio per il quale si fanno ben pagare. Timbrare una “non rinuncia” (l’espressione è ben conosciuta nell’ambiente) ad esempio, costa più di 80 Reais. Esatto, solo per un timbro! E se l’interessato avesse bisogno di una procedura urgente, l’ottanta dev’essere moltiplicato per tre… soltanto, o quasi soltanto, in Brasile. Più specificatamente, nel nostro caso, nel Consolato Generale di Curitiba, dove pochi ed applicati funzionari fanno il possibile e l’impossibile, ma in funzione della domanda, non riescono ad espletare tutte le pratiche.

Oltre ad aumentare costi ed incentivare la corruzione, la forma di sollecitare la cittadinanza in Italia (che beneficia solo il richiedente e non i suoi familiari), ha determinato altri effetti allo stesso modo gravi: da circa tre anni ha bloccato l’enorme fila della cittadinanza creatasi nel Brasile, normalmente fatta di processi di molti nomi che in totale sommerebbero a circa 150.000 in tutto il territorio. A causa di questa nuova fila italiana, la brasiliana è stata dimenticata (benché più antica). Anzi, cancellata. L’enorme lista di nomi che c’era nei siti dei consolati, come quello di Curitiba, è semplicemente scomparsa con la recente riforma ed uniformazione delle pagine web patrocinate dal Ministero degli Affari Esteri. Ed ora chi ha fatto la richiesta quattro, cinque o più anni fa ed aspetta pazientemente il suo turno non riesce ad ottenere nessuna informazione sull’andamento della sua richiesta. In verità, l’informazione non esiste. La lista è scomparsa. A Curitiba sostengono che la struttura consolare esistente viene totalmente assorbita dalla fila più recente (l’italiana).

Ma come già detto, la grande fatica dei funzionari consolari non significa efficenza nei risultati in relazione alla domanda di un territorio ad elevato contingente italo brasiliano. La cosa funziona male, sottomettendo mamme, papà, giovani ed anche anziani, i quali si arrischiano ad entrare nella fila, ad una umiliante e degradante situazione. Per avere un’idea di quello che accade è sufficiente immaginarsi davanti all’entrata di un palazzo che apre di mattina e che chiude alla sera, quindi sul marciapiede o in strada, senza bagno, per due, tre, quattro, cinque o più giorni. Lunghi giorni e lunghe notti senza fine. Con luna piena o temporale, pioggia o freddo, dormendo su materassi improvvisati o, chi può, in una macchina parcheggiata lungo la strada. Questo, spesso, dopo avere affrontato viaggi di 400, 500, 600 o più chilometri, arrivando da città come Criciúma, Foz do Iguaçu, Maringá, Cascavel o l’estremo Ovest di Santa Catarina.

Nessuno di quelli che sono stati ascoltati da Insieme in questa umiliante situazione ha risparmiato critiche, le più incisive possibili, al consolato e alla sua forma di procedere: “Non siamo mendicanti o poveracci”, dicono professoresse, imprenditori, studenti, genitori preoccupati con la situazione dei figli che si trovano in Italia alla ricerca di un’opportunità che non trovano in Brasile. Quelli che meno reclamano, o non lo fanno affatto, sono gli intermediari, che si approfittano della possibilità di guadagnare qualche spicciolo. Le critiche non finiscono nemmeno quando il ricevimento inizia. “Sono venuto a prendere il mio passaporto – diceva una giovane – ma loro esigono il biglietto aereo emesso”. Un’altra, senza darsene pace, reclamava della mancanza di informazioni sui documenti e le richieste: “almeno questo, santo Dio, che ci sia informato correttamente”.

Nel servizio di legalizzazione di documenti (semplice conferimento e apposizione di timbri di autenticazione consolare su documenti brasiliani), la quantità di persone ricevute al giorno è soltanto di 12, come gli stessi interessati raccontano. Sei fino tre documenti;  altre sei con più di tre documenti. In funzione di ciò chi è in fila cerca di assicurarsi il suo turno auto organizzando una lista basata sull’ordine d’arrivo durante la notte. La lista, controllata dagli stessi interessati (e attaccata dietro ad una colonna nella parte esterna del palazzo) non è – secondo quando dicono – tenuta in considerazione dal consolato che non ammette l’esistenza della fila. “L’altro giorno, ci hanno strappato la lista in faccia, dicendo che qui non c’è fila… sono ciechi? Abbiamo perso il nostro turno a favore di persone arrivate, ben lavate e riposate, alle otto di mattina, minacciando di chiamare la polizia”, racconta un giovane dell’ovest del Paraná. Accanto a lui, una signora ribatte: “se facessero questo con me gli romperei i denti”.

Anzi, il clima è proprio questo. Rompere i denti è la più normale delle minacce per chi tenta di forare la fila che è ora mai permanente. E non cambia niente se è direttamente l’interessato ad essere li, un parente od un suo preposto, a volte contrattato per assicurarsi il posto. Oppure una “testa di ferro” già abituata a tutto ciò e che si fa pagare almeno 100 Reais al giorno. “Il problema non è questo – dice un’altra signora – se io fossi malata e non potessi stare qua, anch’io pagherei qualcuno per assicurarmi il turno”.

Varie notti in fila dove gli interessati hanno in comune gli stessi problemi creano anche un giro di informazioni multo utile ai nuovi che entrano nella fila di attesa. È li che molti scoprono che sta mancando qualcosa e, così, cercano di risolverla, in una corsa contro il tempo, problemi che a volte causano una notte in più sul marciapiede per arrivare al 21º piano. “Ma sarà che il consolato non potrebbe almeno orientarci ed informarci correttamente? Tutto questo fa schifo”, esclama un signore incredulo, per la prima volta lì presente: “Ci sono cento persone in questa fila senza un posto dove sedersi, nè un bagno e quasi nemmeno aria per respirare, un’unica persona di servizio allo sportello, senza tempo per informare le persone. Fin da questa mattina presto non sono riuscito ad avere un semplice orientamento. Ma dove siamo? Dormire nella fila per questo? Io non lo faccio”.

Cosa che non può dire la signora Celina Campanini, 55 anni, di Londrina, che ha dormito almeno tre notti in fila, sul marciapiede, per cercare di risolvere il problema di sua figlia (sposata) che si trova a Perugia. Lei garantisce che senza includere i biglietti aerei, i costi dell’avventura già superano i 25.000 Reais. Ora sua figlia è tornata in Brasile per poi ritornare in Italia, un’altra volta come turista fino a che venga riconosciuta la sua cittadinanza. “Anche là c’è corruzione”- garantisce lei – spiegando che benché sua figlia paghi per abitare ed avere un indirizzo, quando viaggia “loro la mettono in un altro posto” e così il conto diventa ancora più caro. La signora Celina, al contrario della maggior parte, non ha paura di farsi identificare e racconta dettagliatamente la sua storia, stessa cosa che fa Marcelo Dentini, 27 anni, di Curitiba, che lavora nel ramo della culinaria, il quale è rimasto nella fila da sabato (27.01) alle tre di pomeriggio, con una previsione di essere ricevuto in consolato il giovedì mattina (01.02). Lui voleva aiutare un cugino che si trova con sua moglie da più di sei mesi in Italia, dove ha dato inizio alla pratica di cittadinanza “iure sanguinis”. Critica apertamente quanto è fatto pagare e sottolinea la mancanza di considerazione che la burocrazia da all’organizzazione dei propri interessati “in mezzo a questa confusione”. Racconta che davanti a lui, “qualcuno del consolato ha strappato la relazione che noi in fila di comune accordo avevamo fatto, rispettando l’ordine di arrivo di ognuno di noi, perché la nostra fila qui sotto non vale niente”, poiché, “per loro vale chi arriva per primo lassù. Quindi una persona che è già stressata, è molto contenta con tutto ciò! Ma, allora, perché non la organizzano loro una fila?”


 

u

HUMILHANTE !

 

Até seis dias na fila ( noite e dia ) para obter simples carimbos sobre alguns documentos. Carimbos bem pagos.

 

Fala-se em altos valores no “mercado da cidadania” praticado a partir de algum município italiano por despachantes bem estruturados: sinal de 1.000 euros no ato da entrega dos documentos; 5.000 mil euros na conclusão do processo; entre 300 e 800 euros por mês de aluguel para garantir o endereço num processo que pode durar três, seis ou mais meses, incluindo extras eventuais para intérpretes (nem todas as “vítimas” entendem ou falam o italiano), cotados à base de 100 euros por solicitação. Depois tem o custo da alimentação, das passagens aéreas, do encaminhamento da papelada aqui no Brasil… tudo pode chegar facilmente a 25/30 mil reais. Nesse mercado – asseguram algumas fontes – há outros indícios de intrigante eficiência numa máquina complexa e bem azeitada. Como, por exemplo, estar no endereço indicado nos exatos dia e horário em que a “questura”, isto é, a polícia italiana resolve fazer a vistoria obrigatória (há requerentes residem em Roma, Veneza ou outra cidade e alugam endereços a em outras localidades, como Verona, por exemplo), fato que, a bem da verdade, denotaria inegável conluio também de autoridades italianas no processo…  isso e muito mais.

Provas?  Ninguém está disposto a se expor à luz do dia. Portanto, tenha-se o texto até aqui escrito apenas como reprodução de referências em “off” que envolvem, também e não raramente, nomes conhecidos no seio da comunidade ítalo-brasileira. Tais referências aludem ainda a rendas fantásticas de atravessadores que exploram comercialmente o “negócio da cidadania”… claro: tomemos o exemplo de 35 interessados com endereço rotativo numa república em qualquer cidadezinha italiana aos preços indicados, vai lá… no mínimo 250 mil euros mensais. Como se diz, “se non è vero, è ben trovato”.

Verdadeiras ou não as cifras, propinas, personagens e exigências, não há como negar, entretanto, que de alguns anos para cá cresceu a movimentação de pessoas e documentos que atravessam o oceano Atlântico em busca da cidadania italiana “iure sanguinis”. E que a origem de tudo isso está diretamente ligada ao nível cada vez mais crescente da dificuldade em obter no lugar de origem – aqui ou na China – o reconhecimento de um direito que a lei garante a todo descendente de imigrante italiano. Assim, quanto maior a dificuldade, tanto maior o balcão de negócios no mercado da venda de facilidades. Ou, se preferir, de possibilidades.

Temos então que um processo de reconhecimento da cidadania italiana que poderia sair quase de graça e realizado de forma prazeirosa está hoje custando uma fábula em dinheiro e sacrifícios. E enriquecendo atravessadores aqui e na Península, além de constituir fonte extraordinária de receita para os próprios consulados que, eternos reclamantes da falta de estrutura e recursos, acabaram se transformando em meros autenticadores de documentos, melhor dizendo, de carimbos cartoriais. Serviço pelo qual cobram e bem. Carimbar uma “não renúncia” (o termo é muito conhecido no meio), por exemplo, custa mais de 80 reais. Sim senhor, apenas um carimbo. E se o interessado precisar do carimbo em regime de urgência, 80  vezes três… só, ou quase só, no Brasil. Especificando mais, para o nosso caso, no Consulado Geral de Curitiba, onde poucos e dedicados funcionários fazem o possível e o impossível, mas, em função da demanda, não dão conta do recado.

Além de aumentar custos e incentivar a corrupção, esse procedimento de solicitar a cidadania a partir do território italiano (que beneficia apenas o requerente e não seus familiares), teve outros efeitos igualmente graves: há cerca de três anos congelou a enorme fila da cidadania gerada no Brasil continental, normalmente formada por processos  de muitos nomes que, no total, somariam mais de 150 mil em todo o território. Por causa daquela, nova, esta fila antiga foi esquecida. Não só: deletada. A enorme relação de nomes que existia nos sites de consulados como o de Curitiba, simplesmente sumiu com a recente reforma e uniformização das páginas web patrocinadas pelo Ministério das Relações Exteriores. E agora quem fez requerimento há quatro, cinco ou mais anos e aguarda pacientemente a sua vez, não consegue sequer a informação mais comezinha sobre o andamento do pedido. Na verdade, essa informação não existe. A lista sumiu. Em Curitiba, alega-se que as forças consulares existentes estão sendo exauridas pela fila mais recente.

Mas, como já observamos, a exaustão de forças não significa eficiência nos resultados em relação à demanda num território de elevado contingente ítalo-brasileiro. A coisa funciona mal, submetendo mães, pais, jovens e também idosos que se arriscam a entrar na fila a uma humilhante e degradante situação. Para se ter idéia do que se passa, basta apenas imaginar-se diante da portaria de um prédio que abre pela manhã e é fechada à noite, na calçada ou na rua, sem banheiro, durante dois, três, quatro, cinco, ou mais dias. Longos dias e longas noites, madrugadas sem fim. Com luar ou trovoada, chuva e frio, dormindo sobre colchões improvisados ou, quem pode, dentro do carro estacionado à beira da calçada. Isso depois de ter enfrentado viagens de 400, 500, 600 ou mais quilômetros, a partir de cidades como Criciúma, Foz do Iguaçu, Londrina, Maringá, Cascavel, ou do extremo Oeste de Santa Catarina.

Ninguém  dos que foram ouvidos por Insieme nessa humilhante situação poupou críticas, as mais contundentes possíveis, ao consulado e sua forma de proceder: “não somos mendigos ou pedintes”, dizem professoras, empresários, estudantes, pais preocupados com a situação de filhos que se encontram na Itália à busca de uma oportunidade que não encontram no Brasil. Os que menos ou nada reclamam são os “despachantes”, que aproveitam a chance de ganhar uns trocados. As críticas não terminam nem depois que o atendimento começa. “Vim buscar meu passaporte – dizia uma jovem – mas eles exigem a passagem na mão”. Outra, inconformada, reclamava da falta de informação sobre documentos e exigências: “Pelo menos isso, pelo amor de Deus, que nos informassem corretamente!”.

No serviço de “legalização” de documentos (simples conferência e aposição de carimbos de autenticação consular sobre documentos cartoriais brasileiros), a cota de atendimento diário é de apenas 12 pessoas, conforme narram os próprios interessados. Seis com até três documentos; outras seis com mais de três documentos. Em função disso, quem fica na fila trata de assegurar sua vez, auto-organizando uma lista pela ordem de chegada madrugada a dentro. Tal lista, controlada pelos próprios interessados (e afixada atrás de uma coluna na parte de fora da portaria do prédio), não é – segundo denunciam – levada em conta pelo consulado que não admite a existência da fila. “Outro dia, rasgaram a lista na nossa cara, dizendo que aqui não há fila… são cegos? Perdemos a vez para gente que chegou, tomadinha banho e bem dormida, às 8 horas da manhã, ameaçando chamar a polícia”, conta um jovem do Oeste do Paraná. A seu lado, uma senhora rebate: “Se fizerem isso comigo eu quebro os dentes”.

Aliás, o clima é exatamente este. Quebrar os dentes é corriqueira ameaça a quem se atrever furar a fila que já se tornou permanente. E pouco muda se é o  interessado diretamente que ali está, um parente seu ou um preposto, às vezes contratado para assegurar a vaga. Ou mesmo um “laranja”, já habituado a tudo e que não cobra menos que 100 reais por dia para isso. “O problema não é esse – diz outra senhora – se eu estivesse doente e não pudesse estar aqui, também estaria pagando alguém para assegurar a minha vez”.

Sucessivos pernoites numa fila onde os interesses e problemas são comuns acabam por gerar também um circuito informativo de muita utilidade aos novatos na fila de espera. É ali que muitos descobrem que alguma coisa está faltando e, assim, procuram resolver, numa corrida contra o tempo, problemas que às vezes acabam custando mais uma noite na calçada até alcançar o 21º andar. “Mas será que o consulado não poderia pelo menos nos orientar e informar corretamente? Isso é nojento”, exclama um senhor inconformado, pela primeira vez ali: “Tem cem pessoas nesta fila sem lugar para sentar, nem banheiro e quase sem ar para respirar, uma única pessoa para atender no guichê, sem tempo para informar as pessoas. Desde manhã cedo não consegui uma simples orientação. Onde estamos? Dormir na fila para isso? Eu não vou fazer”.

Coisa que não pode dizer dona Celina Campanini, 55 anos, de Londrina, que dormiu pelo menos três dias na fila da calçada tentando resolver o problema de sua filha (casada) que se encontra em Perugia. Ela garante que, sem computar passagens, os custos da aventura já superam a casa dos 25 mil reais. Agora sua filha voltou ao Brasil para retornar à Itália, outra vez na condição de turista até que seja reconhecida sua cidadania. “Lá também tem corrupção” – assegura ela -, contando que embora sua filha pague para morar e ter endereço, quando viaja “eles colocam outro no lugar” e aí a conta fica ainda mais cara. Dona Celina, ao contrário da maioria, não tem medo de se identificar e conta em detalhes sua história, procedimento que também adota Marcelo Dentini, 27 anos, de Curitiba, do ramo da culinária, que permaneceu na fila desde sábado (27.01), às 15 horas, com previsão de atendimento na quinta-feira (01.02) pela manhã. Ele procurava socorrer um primo que também se encontra com a esposa  há mais de meio ano na Itália, onde deu início ao processo de cidadania “iure sanguinis”. Ele critica abertamente os preços cobrados e carrega o tom na desconsideração que a burocracia dedica à organização dos próprios interessados “no meio dessa bagunça”. Conta que à sua frente, “alguém do consulado rasgou a relação que nós de comum acordo fizemos aqui, respeitando a ordem de chegada de cada um, porque a nossa fila aqui em baixo não vale nada”, pois, “para eles, vale quem chegar primeiro lá em cima. Então você, que já está estressado, fica muito contente com tudo isso! Mas porque eles não organizam, então, a fila deles?”