Amarelo sobre azul (Foto Desiderio Peron / Arquivo Insieme)

Francieli Sgarbossa, di Ibiraiaras-RS, che ha frequentato Medicina Veterinaria presso l’Università Luterana del Brasile, così si descrive come italiana:

“Sono indelebili nella mia memoria le tanto sognate e sperate vacanze, fin dai miei due anni di età, nella casa del nonno Victorio Lazzari. Preparavo un’enorme valigia per starci una settimana, a quattro chilometri da casa. Vedendomi il nonno mi domandava: “Quanti giorni rèstito qua?” (quanti giorni rimani?). Una settimana, rispondevo. “Nò, nò, stà  qua un mese che te me giuti tea feraria” (no, no, resta un mese che mi aiuti nel mio laboratorio di fabbro), ribatteva lui.

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Fosse dipeso da me sarei rimasta tutta la vita con il nonno. Ero la sua nipote preferita. Giocava con me e mi aiutava dei miei doveri. Amavo la sua grande casa, di legno. Dormivo in un letto con un materasso di paglia e sotto il letto un pitale. Mi addormentavo guardando, sul muro, un’immagine della Madonna di Fatima che brillava nell’oscurità come una paradisiaca visione.

Al mattino, ci alzavamo per lavorare. Il nonno, prima di alzarsi, diceva il rosario in Talian, ad alta voce, benedicendo la giornata. Dopo che la Zia Albani Lazzari aveva acceso il forno a legna andavo con lei a mungere le mucche. Alle otto eravamo tutti a tavola con la tipica colazione: pane fatto in casa, marmellata, salame, formaggio, panna, burro, “cróstoli” (biscotti, ndt), caffè-latte in una tazza da mezzo litro…tornando al lavoro fino a mezzogiorno. Seguivo il nonno nel suo laboratorio ed al mulino, mossi dalla ruota d’acqua, dove fabbricava farina e strumenti come falci, zappe, forconi, machetes, martelli e, ovvio, i pezzi del mio carretto con le ruote. Era un’artista dell’essere e del fare.

La merenda del pomeriggio del nonno era pane, salame e vino. Alla fine del giorno, dopo aver fatto legna, aiutavo la zia con le tre mucche e, dopo esserci lavati nel catino di legno fatto dal nonno stesso, iniziavamo la preparazione della tradizionale polenta fresca in una pentola di ghisa, mischiare acqua e farina, togliere le bolle, battere al momento giusto con l’aiuto di tutti, già in casa e ribaltarla sul grande piano di legno sul tavolo, farla indurire e servirsela con il filo numero 16.

La cantina, con le sue casse di legno piene di libri, oggetti e giochi era il mio mondo magico. Con Zia Albani facevamo visita ai vicini e, alla domenica, andavamo alla cappella ricevendo dal nonno un tipo di dolce ottenuto dalla canna di zucchero e caramelle dalle sue tasche piene.

Un giorno, di mattina, il nonno non stava bene. Gli portai una medicina nella stanza. Un disastro! La compressa cadde proprio nel pitale pieno. Al vedere il mio imbarazzo, il nonno disse: “Va, va, ciàpeghene nantro, no ocor svodar el bocal par catarlo fora” (vai, vai, prendimene un altro, non è il caso svuotare il pitale per recuperarla). Tirai un sospiro di sollievo.

Nonno Vitório ora non c’è più. Non abito e nemmeno trascorro le vacanze nella sua casa. Ho altre responsabilità. Ho conosciuto altri luoghi e persone, ma la mia casa e quella del nonno continuano ad essere il miglior posto e le migliori persone del mondo.

È stato il mio mondo italiano: colonia, casa , famiglia, lavoro, pasti, feste e preghiere che hanno contrassegnato  la mia vita e sento particolarmente mia.
Come figlia, nipote e pronipote di italiani raccolgo i fiori di zucca per friggerli, festeggio la prima spiga di mais, la prima polenta, il primo vino e tutto quello che il nostro ultra centenario tavolo conserva della vita e della cultura italiane.

Il destino, un bel giorno, mi ha fatto essere dipendente di Frate Rovílio Costa che mi ha aperto le porte all’italianità. Tornando dallo studio, stanca, lo vedevo anziano e serafico mescolando la polenta per la cena, con salame, formaggio e vino, fortaia (un tipo di omelette, ndt)….ricordo in lui i miei genitori, in particolare il nonno Victorio e la mia storia. Mi sentivo estranea, come italiana, in una città grande, ma ora ammiro e sono ammirata per essere italiana”.

Grazie Francieli, ricorda sempre che Dio ci fa italiani per rallegrare il mondo. (Traduzione Claudio Piacentini)